Ci salverà un tweet o il tema di italiano?

In questi mesi si è dibattutto sull’importanza o meno, di mantenere la prova scritta di italiano, il famoso tema, per l’esame di maturità.

Ho letto con stupore misto a paura, questa idea di voler togliere il tema di italiano, dalla prova di maturità.

La motivazione ufficiale, è che si cerca di andare incontro ai maturandi, come è stato fatto l’anno precedente, visto che negli ultimi due anni non hanno frequentato con regolarità la scuola, fra dad, quarantene e tutto ciò che è, e sta, girando ancora intorno al mondo scuola/covid.

Se l’anno scorso poteva forse, essere in qualche modo giustificato, per la chiusura prolungata della scuola, oggi come oggi ha ben poco senso.

I ragazzi cavalcano questa idea, di non fare la prova, sostenendo che non hanno avuto gli stessi strumenti dei loro compagni degli anni passati e vengono sostenuti in questa abolizione, da adulti, compresi persone delle istituzioni, che parlano di prove prive di senso, che ormai nell’era super tecnologica non apportano nulla alla formazione degli studenti.

Rattrista molto constatare come, soprattutto gli adulti portino avanti queste motivazioni, prive di fondamento, poiché è noto che è esattamente l’opposto, la prova del tema di italiano, lo scrivere non è qualcosa di irrilevante ma invece molto formativo per uno studente e futuro cittadino.

A tutti è capitato di ritrovarsi davanti a un foglio bianco, con una traccia che invita a mettere per iscritto i propri pensieri, ed è tutto fuorché banale e semplice, e proprio per questo spaventa gli studenti che anelano all’idea che sia eliminata, ma gli adulti invece, dovrebbero conoscere il grande valore intrinseco.

MENO NON è MEGLIO

Si sta assistendo da troppi anni a una volontà di togliere, per alleggerire, ritenendo che molte attività siano superflue e non aggiungerebbero nulla all’apprendimento, a titolo d’esempio: imparare le poesie a memoria, mentre invece sappiamo che solo ‘allenando’ il nostro cervello lo miglioriamo.

A tal proposito una delle attività che negli anni si è sempre più ridotta, già dalla scuola primaria, è la scrittura, i bambini scrivono sempre meno rispetto agli anni passati, basta osservare i libri e i quaderni per rendersene conto. 

I libri sono pensati per apporre crocette, tipo quiz, mentre i quaderni o meglio i quadernoni, formato A4 e non A5 come invece venivano utilizzati in passato in quanto più funzionali per i bambini di scuola primaria, sui quadernoni invece è più semplice incollare tante fotocopie formato A4, su cui i bambini fanno esercizio scrivendo una parola o lo completano apponendo una singola lettera.

Bisogna fare una caccia al tesoro per trovare qualche pagina scritta interamente a mano dai bambini, i famosi dettati molto utili soprattutto per gli errori ortografici, sono quasi una chimera.

Questa mancanza di esercizio di scrittura, non è semplicemente un ridotto esercizio motorio come la maggior parte delle persone possono pensare, ma è in realtà una carenza di sviluppo del pensiero. A tal proposito rimando a un mio elaborato dal titolo ‘Perché promuovere e valorizzare la scrittura a mano dell’era digitale’ realizzato per A.E.D., nel quale vengono presentati vari studi di neuroscienze sia a livello internazionale sia italiani, uno dei quali è lo studio italiano, molto interessante, del pedagogista prof. Benedetto Vertecchi Nulla dies sine linea’, dove si evidenzia quanto sia determinante scrivere a mano, per un adeguato sviluppo del pensiero.

Lo scarso esercizio di scrittura, purtroppo prosegue nei successivi cicli di studio, e i risultati non confortanti emergono anche all’università, dove gli studenti presentano degli scritti con errori ortografici da scuola primaria, di sintassi e nel complesso poveri di contenuti, come denunciato da una lettera aperta sottoscritta nel 2017 da 600 professori universitari.

Scrivere sempre meno, comporta come indicato in questa riflessione e come afferma la scrittrice Simonetta Agnello Horby, un grave rischio di pensare sempre meno, di conseguenza avere un impoverimento dell’elaborazione del pensiero che non può portare a nulla di costruttivo.

Si rischia di creare, in parte si è già palesata, una futura generazione, in tutti gli ambiti sociali, scarsa, capace solo di attivare pensieri molto semplici, giusto/sbagliato, buono/cattivo come porre una crocetta su vero/falso che gli viene insegnato sin dalla scuola primaria.

La scuola italiana, ha bisogno di formare future generazioni pensanti, che siano in grado di costruire un pensiero articolato, solido e non un semplice copia/incolla con qualche emoticon al posto di dar forma e senso alle emozioni, che si possano affermare i giovani del futuro nel mondo del lavoro, della cultura, della politica sia nazionale che internazionale.

Riportare i giovani a pensare, a fermarsi nel momento, che è possibile solo con una penna e un foglio di carta bianco davanti a sè, solo così si riesce a far fluire il pensiero, a porsi domande a cercare soluzioni complesse, e come dice il regista Spike-Lee, ma non solo lui fra gli artisti, «Beh, mi piace scrivere. Con carta e penna, però. Non uso una tastiera, altrimenti non riesco ad esprimermi al massimo. Il flusso creativo si blocca.”